Pacifico Luigi

  • Data
    12 Giugno, 2020
    Numero: 314 Autore: Pacifico Luigi Titolo: L'abbraccio Tecnica: Olio e collage su tela Misura: cm. 80x80 Firmato: In basso al centro; sul retro n. archivio, titolo e firma per autentica Documenti: Certificato della galleria e dichiarazione di autenticità dell'artista su foto. Cornice: No

Biografia

Luigi Pacifico nasce a Bari il 7 ottobre 1955. Dopo aver conseguito il Diploma d’Arte sotto la guida di Francesco Spizzico, inizia la sua attività come grafico pubblicitario e come disegnatore per l’industria discografica. in questo periodo dipinge ad acquerello; verso la fine degli anni 70 la pittura diventa la sua occupazione principale; organizza mostre e partecipa a concorsi nazionali riscuotendo notevoli successi. Dopo vari anni di studio e continue ricerche approda a quella che è oggi la sua tecnica: una combinazione di pittura ad olio e collage che ne consacra la valenza e l’originalità. Negli ultimi anni ha iniziato a scolpire la pietra realizzando con notevoli risultati, un misto tra scultura e scenografia usando materiali di recupero chiusi nella nostra memoria. Le sue opere si trovano presso le più importanti collezioni pubbliche e private, case d’asta, gallerie italiane ed estere, su tutte le riviste d’arte. Molte sono le copertine di libri di narrativa ed editoria per i bambini. Ultime mostre: Expo Padova – Expo Basilea. Luigi Pacifico, cantastorie moderno di un mondo senza tempo. È difficile trovargli dei precedenti senza correre il rischio di sminuire l’originalità. È vero, gli uomini volanti fanno immediatamente pensare a Chagall; le ballerine di can can con le calze a mezza coscia e lo sguardo perso nel vuoto sono un omaggio a Toulouse-Lautrec; i colori smaltati, scintillanti, sono quelli di Van Gogh. Ma quei cieli stellati sono così infiniti e vicini da parere spiati da un finestrino di un’astronave, quei trompel’oeil dove la prospettiva si rivela una tenda colorata che da uno strappo lascia sfuggire un uomo in cilindro dal dito accusatore, quei fondali di palcoscenico piatti che, d’improvviso, si rivelano dotati di una terza, forse anche di una quarta dimensione, quelle matite colorate dalle punte acuminate che compaiono inaspettate, incongrue eppure cosi necessarie, e poi i tubetti di colore che si contorcono, lottano, sputano – ironici e gioiosi – la loro pasta scintillante, sono solo suoi. E it suo universo onirico personale. Inattingibile ma allo stesso tempo espresso con un linguaggio immediato, comprensibile, rassicurante, quasi, nella sua nitidezza e nella riconoscibilità dei suoi personaggi. E un universo colorato pieno di lui, di questa sua eterna fanciullezza che lo spinge a raccontare la vita in favole. Ed ogni favola potrebbe essere la continuazione della precedente. Ogni notte stellata la stessa, infinita, notte stellata. Ci si trova, davanti ai lavori di Pacifico. Incantati, catturati, senza parole. Risucchiati in quel vortice di spirali che prima sono onde del mare e poi si trasformano nella decorazione di un palcoscenico. E allora cercare il bandolo di quella favola senza fine è un’esigenza che si rivela pia forte della volonta. Ci si inventa una storia, cosi. La storia di una venere bionda che invece di nascere sulle spume del mare come la sua sorella botticelliana, scaturisce, scarmigliata e selvaggia, da un tubetto di colore ad olio rosso come l’amore. Poi indossa abiti civili, quella venere: un cappellino rosso e un vestitino scollato dello stesso colore che lascia vedere le sue forme burrose e generose. Indossa abiti civili e parte in mongolfiera verso it cielo stellato. A caccia di spicchi di luna. E, ancora, diventa ballerina di avanspettacolo, riconoscibile per i capelli biondi e per le calze scarlatte. Cosi la sua storia continua. Di quadro in quadro. Di sogno in sogno. L’immancabile uomo baffuto con il cilindro in testa, gli occhialini e la giacca sgargiante, come un narratore. Un piacevole compagno del pellegrinaggio da un quadro all’altro. Evidentemente – e non solo per i baffi e la folta chioma – un alter ego dell’artista. Si potrebbe andare avanti all’infinito a descrivere i quadri di Pacifico. E la tentazione e forte. Perché fermarsi a guardarli significa essere costretti a guardare dentro di se. A scoprire, sotto la patina attraente e colorata di un racconto sussurrato che piacerebbe a un bambino, la verità di un mondo in cui siamo tutti attori d’avanspettacolo. In cui ognuno di noi cerca di proporre agli altri, e spesso anche a se stesso, it suo volto migliore. Un volto che, a volte, a coperto dal cerone del trucco di scena. Non è un caso che nei lavori di Pacifico ricorre la presenza del palcoscenico. “La vita è tutta, un teatro”, spiega semplicemente l’artista, che qualche tempo fa copriva i volti dei suoi uomini e delle sue donne con dello maschere.